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Margherita Aldobrandini

MARGHERITA Aldobrandini, duchessa di Parma e Piacenza. – Nacque nel 1588 nel castello di Capodimonte, nel ducato farnesiano di Castro, dove il padre Gian Francesco prestava servizio dall’anno precedente. La madre era Olimpia Aldobrandini, nipote prediletta del cardinale Ippolito, il futuro Clemente VIII.

 

Per M., Clemente VIII progettò, fin dai primi anni, nozze di altissimo rango. Si tentò, sembra, perfino la strada del matrimonio con Enrico IV di Francia e, fallito il tentativo, con i rampolli del granduca di Toscana Ferdinando I e di Carlo Emanuele di Savoia. Già dal 1598, tuttavia, erano iniziate le trattative per unire gli Aldobrandini con i Farnese, duchi di Parma e Piacenza; con questi la famiglia papale era legata da un controverso rapporto, fatto di antica sudditanza ma anche, con il potere politico ed economico assunto dopo l’elezione di Clemente VIII, di conclamata rivalità.

 

Le trattative per il matrimonio di M. con il duca Ranuccio I furono lunghe e complesse. Ostacolo a una rapida conclusione dell’accordo fu, tra l’altro, la questione della dote, che i Farnese pretesero altissima (si arrivò a parlare di 300.000 scudi) per giustificare un matrimonio di rango tanto inferiore, seppure con una nipote del papa. D’altra parte diversi elementi favorirono il successo dell’iniziativa: i falliti tentativi di Ranuccio di contrarre matrimoni di rilevante prestigio, con Maria de’ Medici e in seguito con una figlia del duca di Baviera Guglielmo V; le difficoltà finanziarie del Ducato, che sarebbero state in parte ammortizzate da possibili nuove rendite e, nell’immediato, dalla cospicua dote papale; la prospettiva di consolidare il potere sui possedimenti di Castro, pur sempre sotto il dominio eminente della Chiesa; le aspettative che dall’unione sarebbero derivati vantaggi per la carriera del cardinale Odoardo Farnese, fratello minore del duca, e il rafforzamento della presenza farnesiana in Curia; la convenienza mai secondaria di un’alleanza politica con la S. Sede; infine l’urgenza che il duca contraesse matrimonio per assicurare la continuità dinastica.

Spinto da tali considerazioni e fortemente incoraggiato dal fratello, alla fine del 1599 Ranuccio acconsentì a sposare l’appena undicenne Margherita. Con il sostegno attivo della corte spagnola, l’accordo matrimoniale fu siglato; la dote, secondo lo spregiudicato nepotismo clementino, uscì per la parte maggiore dalle casse papali e, il 7 maggio 1600, lo stesso pontefice celebrò le nozze a Roma.

Le nozze di Ranuccio e M., sebbene fossero celebrate, sembra per volontà dello stesso papa, senza eccesso di pompa, suscitarono una discreta produzione artistico-celebrativa, spesso allegorica, in forma di raccolte di madrigali, poesie, epitalami; inoltre i festeggiamenti svoltisi nelle città ducali sono stati considerati come una significativa realizzazione di quell’effimero barocco che caratterizzò l’autocelebrazione delle corti italiane in Età moderna.

I primi dieci anni di matrimonio di M. furono funestati dalla sua impossibilità a dare a Ranuccio un erede: M. non riusciva infatti a portare a termine le gravidanze iniziate o partoriva neonati destinati a sopravvivere solo poche ore.

I biografi ricordano che Ranuccio, particolarmente superstizioso e sensibile all’idea di malefici e sortilegi, si convinse di essere vittima di una maledizione e, dopo aver tentato il ricorso alle arti mediche, si rivolse ad astrologi ed esorcisti, fece voti e ingenti donazioni in denaro, e da ultimo finì per abbandonarsi ad accuse di stregoneria; viene ricordata in particolare Claudia Colla, bella fanciulla di buona famiglia, che era stata amante di Ranuccio anni prima e che, con la madre Elena, fu accusata di maleficio e, sembra, rinchiusa nel carcere della Rocchetta di Parma.

Le difficoltà di M. nel diventare madre erano dovute a difetti fisici che le erano costati, già prima del matrimonio, più di un intervento chirurgico. È probabile peraltro che il problema di una possibile sterilità di M. fosse ben presente agli Aldobrandini al momento delle trattative per l’intesa matrimoniale. Alcuni ritengono inoltre che la notizia, trapelata in Curia e in diverse corti italiane, fosse giunta alla orecchie del cardinale Odoardo, che avrebbe volontariamente omesso di riferire a Ranuccio la diceria: sperando nella sterilità della cognata, Odoardo avrebbe così giocato una carta per tentare di succedere sul trono di Parma al fratello qualora questi fosse rimasto privo di eredi legittimi. A ogni modo Ranuccio non prese in considerazione l’idea di lasciare il campo libero al fratello e, pur mantenendo la speranza di un erede legittimo, fin dalle prime gravidanze fallite di M. cominciò a porre le basi per garantire la continuità dinastica attraverso un proprio discendente diretto, ancorché illegittimo, nella persona di Ottavio, avuto nel 1598 da Briseide Ceretoli, figlia di un capitano morto in Fiandra al seguito di Alessandro Farnese.

Furono anni difficili per M., sottoposta, oltre che alla prostrazione per le mancate nascite, alla convivenza a corte con la prole illegittima del duca. A Ottavio, infatti, fu riservata l’educazione adeguata a fare di lui un futuro duca, gli furono assegnati congrue rendite, donazioni e titoli feudali, e fu legittimato, nel 1605, con grande contrarietà del cardinale Odoardo. Nel 1610 M. riuscì finalmente a partorire un bimbo che non morì, cui fu dato il nome di Alessandro, e la cui nascita risollevò momentaneamente le speranze della corte; tuttavia ben presto ci si accorse che il bimbo era sordomuto e che sarebbe stato inabile al governo. Nonostante le cure e gli espedienti per guarire il figlio, Ranuccio dovette arrendersi e, intorno al 1618, dichiarò ufficialmente la sua inabilità a salire sul trono ducale. Questo atto aprì la strada alla successione del secondogenito, il piccolo Odoardo, nato sano il 28 apr. 1612. Dopo la nascita di Alessandro infatti i problemi di M. legati alla maternità si erano risolti: mentre Ottavio usciva di scena (per aver ordito trame contro il padre trascorse gli ultimi 21 anni della sua vita nel carcere della Rocchetta), e Odoardo cresceva con l’educazione di un principe sotto la guida dell’aio piacentino Cremona Visdomini (o Vicedomini) e la severa supervisione del padre, M. dava alla luce Maria (febbraio 1615), poi sposa a Francesco I d’Este, Vittoria (aprile 1618), che sposò Francesco dopo la morte della sorella, e Francesco Maria (agosto 1619), futuro cardinale.

Il 5 marzo 1622 Ranuccio morì.

 

Al momento della morte di Ranuccio, l’erede designato aveva solo dieci anni, e la reggenza fu attribuita, secondo le leggi ducali, al cardinale Odoardo e a M.; nel febbraio 1626 morì anche il cardinale Odoardo, per cui M. fu, per i successivi due anni, unica reggente del Ducato di Parma e Piacenza.

In anni difficili, in cui i piccoli Stati italiani non potevano non subire i riflessi della grande crisi europea culminata nella guerra dei Trent’anni, il periodo della reggenza fu caratterizzato da una relativa stabilità, in sostanziale continuità con la politica di Ranuccio. A M., che le fonti spesso ingenerose ricordano soprattutto per le difficoltà nell’avere figli e per la pinguedine, vanno però riconosciute una discreta saggezza di governo e la non banale capacità di mantenere il Ducato in una situazione di neutralità di fronte alle tensioni politiche che potevano coinvolgerlo. Questa abilità risultò evidente nella complessa questione della successione del vicino Ducato di Mantova, in occasione della quale M. ricevette da Carlo I Gonzaga-Nevers la richiesta di sostenere i suoi diritti al governo del Ducato e l’appoggio in quella che fu la seconda guerra del Monferrato.

Nel 1628, non appena Odoardo ebbe raggiunto i sedici anni necessari per assumere in prima persona il governo dello Stato, M. decadde dalla reggenza. 

 

Scarne sono le descrizioni della personalità di M.: la si dice di carattere mite, in contrapposizione al collerico marito, ne vengono esaltate la pietà, la dedizione ai poveri e agli infermi, e la forte religiosità; in particolare si ricorda il suo legame con i teatini, che volle insediare a Parma, nella chiesa di S. Cristina, nel 1629. Come altre donne di casa Farnese, sembra infine che contribuisse attivamente al mecenatismo proprio della politica ducale, e che fosse sensibile al piacere dell’arte e della poesia.

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